Neoclassicismo
Che cos'è il Neoclassicismo ?
Per definire il Neoclassicismo, basta ricordare 3 elementi:
- Arte classica greca e romana
- Equilibrio di composizioni
- Proporzioni
Il principale teorico del Neoclassicismo fu Johann Joachim Winckelmann, che fu il promotore della rinascita della bellezza ideale e dell'imitazione dell'antichità classica. La teoria di Winckelmann si inserisce in un periodo storico emozionante per quanto riguarda le scoperte artistiche, perché nel 1783 furono scoperte le città di Ercolano e Pompei, che restituirono resti e opere d'arte antica. Si diffuse così l'idea che la perfezione artistica greca e romana fosse l'unica forma da imitare per restituire un'immagine di bellezza e armonia.

Artisti del Neoclassicismo
Oltre a Pompei ed Ercolano, in quel periodo vennero portati alla luce altri siti antichi, come Villa Adriana a Tivoli, e molte reliquie giunsero in Europa dalla Grecia e furono esposte in nuovi musei europei come il British Museum e il Louvre, per esempio.
Tutto ciò che ha contribuito alla diffusione di riproduzioni di arte classica, e decorazioni in stile pompeiano diventano anche di moda.
Roma e Parigi furono i centri principali della produzione artistica neoclassica, e Antonio Canova e Jacques-Louis David furono due grandi artisti di questo movimento artistico.
ANTONIO CANOVA.
Antonio Canova nacque a Possagno il primo novembre 1757. A soli quattro anni rimase orfano del padre, Pietro. La madre, Angela Zardo, si risposò poco dopo con Francesco Sartori e si trasferì nel vicino paese di Crespano, ma Antonio rimase a Possagno, con il nonno Pasino Canova, tagliapietre e scultore locale di discreta fama. Fin da giovanissimo, egli dimostrò una naturale inclinazione alla scultura, tant'è che eseguiva piccole opere con l'argilla di Possagno. Si racconta che, all'età di sei o sette anni, durante una cena di nobili veneziani, in una villa di Asolo, abbia eseguito un leone di burro con tale bravura che tutti gli invitati ne rimasero meravigliati: il padrone di casa, il Senatore Giovanni Falier, intuì la capacità artistica di Canova e lo volle avviare allo studio e alla formazione professionale.Nel 1779, Canova compì il suo primo viaggio a Roma, dove produrrà le sue opere più belle, dalle Grazie ad Amore e Psiche, dai Monumenti funebri dei Papi Clemente XIII e XIV a Maria Cristina d'Austria, senza contare i numerosi soggetti mitologici, come Venere e Marte, Perseo vincitore della Medusa Ettore e Aiace. Sempre a Roma lavorerà per sovrani, principi, papi ed imperatori di tutto il mondo. Ospite dell'Ambasciatore veneto Girolamo Zulian, grande mecenate degli artisti veneti, Canova riceverà da Zulian le prime commissioni, tra cui Teseo sul Minotauro (1781) e Psiche (1793).
L'avvento di Napoleone imperatore sulla scena politica europea nel 1804 determinò un periodo fecondo della produzione artistica di Canova, durante il quale produsse il Napoleone di Apsley House, i busti dei Napoleonici, il marmo di Letizia Ramolino e la famosissima Paolina di villa Borghese. Contemporaneamente resistette alle lusinghe di diventare l'artista della Corte dell'imperatore francese. Anzi, nel 1815, subito dopo la disfatta di Waterloo, Canova, che era a Parigi con il fratellastro Giovanni Battista Sartori, grazie ad una abile azione diplomatica riuscì a riportare in Italia numerose e preziose opere artistiche trafugate da Napoleone in Francia. Papa Pio VII, per questa sua grande opere in difesa dell'arte italiana, gli conferì il titolo di Marchese d'Ischia, con un vitalizio di tremila scudi che egli volle elargire a sostegno delle accademie d'arte.
Nel luglio del 1819, Canova era a Possagno per porre la prima pietra del Tempio che volle progettare e donare alla sua comunità come chiesa parrocchiale. Il maestoso edificio sarà completato solo dieci anni dopo la sua morte, avvenuta il 13 ottobre 1822, a Venezia, in casa dell'amico Francesconi. Il suo corpo, per volere del fratellastro, fu traslato prima nella vecchia parrocchiale e, dal 1832, nel Tempio.
OPERE PIÙ IMPORTANTI:
JACQUES-LOUIS DAVID
David, Jacques-Louis, pittore francese, introdusse lo stile neoclassico in Francia e fu il punto di riferimento fondamentale dal periodo della Rivoluzione alla caduta di Napoleone. David nacque a Parigi in una famiglia borghese, molto agiata, nell'agosto del 1748, studiò all'Académie Royale ed ebbe come maestro il pittore rococò Vien.
David vinse il premio di Roma nel 1774 e in un viaggio in un periodo successivo in Italia fu fortemente influenzato dall'arte classica e dal lavoro del pittore del secolo XVIII Nicolas Poussin.
David sviluppò velocemente il suo stile neoclassico, rappresentando soggetti dal mondo antico e basandosi sulla scultura Romana per forme e posture.
GIURAMENTO DEGLI ORAZI

Il giuramento degli Orazi racconta la vicenda dei tre fratelli romani Orazi. Tra loro e i tre fratelli Curiazi di Albalonga si verificò uno scontro armato. Jacques-Louis David raffigura il momento nel quale gli Orazi giurano al padre di combattere fino alla loro morte per Roma. L'artista prende in prestito la leggenda per esaltare l'impegno politico ed eroico del singolo a favore del bene comune. Sentimenti, questi, che saranno determinanti durante la rivoluzione che scoppierà in Francia pochi anni dopo. Jacques-Louis David nacque nel 1748 e morì nel 1825. Fu uno dei principali artisti del Neoclassicismo e personale interprete della gloria di Napoleone. Il giuramento degli Orazi, come molte delle sue tele ha una dimensione monumentale. Infatti, il grande impatto visivo delle opere di Jacques-Louis David è una componente essenziale per esaltare il messaggio dei suoi dipinti. Con i suoi ritratti destinati a celebrare la gloria di Napoleone l'artista, creò immagini destinate al popolo. Anche in questa fase, iniziale, si rivolse ad un pubblico molto vasto con opere di comunicazione sociale. La lettura dell'opera è facilitata dal suo ordine compositivo. Il messaggio, pur ambientato in un tempo lontano, è chiaro e facilmente decodificabile. La sobrietà della poetica neoclassica si evidenzia nella mancanza di inutili dettagli che potrebbero distrarre l'osservatore. Lo sfondo del dipinto è in ombra. Il colonnato davanti al quale si svolge la scena crea una parete scura che mette in gran risalto la scena. I colori degli abiti dei personaggi sono brillanti e ben definiti. Rosso, blu e bianco colorano i mantelli e gli abiti dei personaggi principali. La valenza simbolica di questa scelta cromatica è chiara. Sono i colori della bandiera francese. Per guidare la lettura nella giusta direzione, David, utilizza una illuminazione particolare. La luce è fredda e cristallina. È sicuramente una luce ideale che scolpisce le forme e i personaggi come fossero statue. Anche la disposizione dei personaggi è attentamente studiata per renderli immediatamente identificabili. Il giuramento degli Orazi è un'operazione di comunicazione collettiva veramente efficace. I protagonisti sono disposti sulla scena come su di un palcoscenico. David raffigura l'avvenimento nel modo più comunicativo e semplice possibile. L'azione si svolge da sinistra verso destra. I fratelli raffigurati insieme, come un gruppo scultoreo classico, sono al cospetto del loro padre. Con un gesto eroico prestano il loro giuramento. Sono dipinti di profilo come le effigi sulle monete romane. La composizione del dipinto di David è molto semplice e lineare. La scena si dipana da sinistra a destra. I personaggi, infatti, sono collocati in modo narrativo e scenico a partire dai soggetti del titolo. I fratelli giurano di fronte al padre dipinto in centro. A destra le donne di famiglia piangono per il sacrificio dei tre fratelli.
LA MORTE DI MARAT
Il 13 luglio 1793 viene ucciso Jean-Paul Marat, un medico rivoluzionario (nato in Svizzera da padre sardo) e amico di David. Marat è un personaggio molto noto. E' il direttore del giornale "l'amico del popolo", deputato della Convenzione, Presidente del gruppo dei giacobini, responsabile insieme a Robespierre, della caduta dei girondini.
Il delitto ha scosso tutta l'opinione pubblica francese e in particolare David, anche per le circostanze particolarmente brutali. Marat è stato assassinato da una donna, la nobile Carlotta Corday, che l'ha accoltellato a tradimento mentre era andata da lui per farsi scrivere una lettera. Marat soffriva di una malattia della pelle ed era costretto ad immergersi spesso nella vasca da bagno, perciò non ha potuto difendersi. David appena ricevuta la notizia è stato uno dei primi ad accorrere presso l'amico ed a vedere la scena del delitto, raccontata anche in tutti i dettagli dai giornali di allora.

Dipinge questo quadro come omaggio all'amico, ed evita di rappresentare la realtà che aveva visto e i particolari più raccapriccianti. Nel dipinto non compaiono gli elementi (noti dalle cronache del tempo) che caratterizzavano il luogo del delitto e avrebbero fatto apparire l'avvenimento come un ordinario fatto di cronaca, e Marat come una vittima qualunque. David opera una sintesi rigorosa eliminando tutto ciò che non serve o può sviare il preciso messaggio del quadro. Tutta la scena è estremamente sobria e spoglia riportando l'impatto drammatico e violento della situazione reale ad una situazione ideale di calma e di distacco quasi sereno.
Manca tutto il secondo piano. La tappezzeria in carta da parati non compare, manca anche la cartina geografica della Francia e le pistole sulla parete. Si vede un fondo verdastro quasi monocromo, stemperato soltanto da una specie di pulviscolo dorato in alto a destra. L'effetto è ottenuto con macchioline in punta di pennello come a formare una sorta di nebbia strana e luminescente che sembra muoversi verso Marat o uscire da lui. L'assenza di prospettiva e di qualsiasi accenno a una parete nel secondo piano rende indefinito lo sfondo. Il sangue è appena accennato, il cadavere è molto composto, la morte è indicata solo dall'abbandono del braccio e della testa appoggiata al bordo della vasca. Nelle mani Marat tiene ancora la lettera (ben leggibile e rivolta allo spettatore) e la penna. Sulla cassetta in primo piano si vedono alcuni fogli e il calamaio con l'inchiostro.
Anche i colori sono quasi annullati, ridotti al minimo: il bianco luminoso degli asciugamani, il verde del drappo sulla vasca, molto simile a quello dello sfondo. L'incarnato di Marat è molto pallido. La composizione è quindi essenziale, basata sulla semplice linea orizzontale e sulle brevi verticali della cassetta e dei drappeggi bianco e verde, disposti molto ordinatamente. La sobrietà dell'insieme e l'arredo povero (la cassetta usata come tavolino, la tavola coperta da drappo verde, il lenzuolo rattoppato) rappresentano la rettitudine e lo stile di vita semplice di Marat e risaltano le virtù di un uomo modesto e disinteressato alla ricchezza, pronto ad aiutare gli altri (la lettera). Unico elemento fuori posto della composizione è il coltello insanguinato abbandonato a terra. Ma l'assassina è assente. Marat sceglie di rappresentare il momento successivo all'omicidio proprio per non mostrare il suo volto e "cancellarla" simbolicamente, come per volerla dimenticare. Rimane il coltello, che, da un lato rappresenta la sua azione malvagia e vile, dall'altro esalta le virtù civiche di Marat che muore vittima della sua stessa filantropia.
GIOVANNI BATTISTA PIRANESI
Nacque il 4 ottobre 1720 a Venezia da Angelo e da Laura Lucchesi. Venne battezzato l'8 novembre nella parrocchia di S. Moisè. Il padre, tagliapietre e capomastro, e il fratello della madre, Matteo Lucchesi, architetto impiegato presso il magistrato delle Acque, lo indirizzarono agli studi di architettura, insieme all'architetto e ingegnere Giovanni Antonio Scalfarotto, e al più giovane Tommaso Temanza, con cui rimase in rapporto per tutta la vita. Studiò inoltre latino con il fratello Angelo, frate certosino, che gli trasmise la duratura passione per Tito Livio. Frequentò forse lo studio dell'incisore Carlo Zucchi. Nel 1740, ansioso di uscire dai ristretti ambiti professionali a cui lo indirizzava l'ambiente familiare, riuscì a essere nominato «disegnatore» al seguito del nuovo ambasciatore della Serenissima a Roma, Francesco Venier, e, partendo il 9 settembre, arrivò a Roma entro il mese, installandosi probabilmente a palazzo Venezia. Intorno al 1742 frequentò, forse solo brevemente, lo studio di Giuseppe Vasi, approfondendo la conoscenza delle tecniche dell'acquaforte; la sua eventuale collaborazione alle piccole tavole della raccolta intitolata Vedute di Roma sul Tevere non è al momento ancora precisabile. Il breve periodo di apprendistato presso Vasi è già ricordato in una lettera a Giovanni Gaetano Bottari da Napoli del 1748 (Hyde Minor, 2001, p. 419) e da Gori Gandellini (III, 1771, p. 61), per essere poi travisato da Bianconi (1779) nell'aneddoto che lo avrebbe voluto, divenuto più esperto del maestro e suo acerrimo nemico, attentare alla sua vita. L'attività di formazione di Piranesi tra Venezia e Roma si prolungò dalla fine degli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta attraverso una serie di esperienze professionali disparate: l'ambiente familiare lo aveva messo in contatto con cantieri architettonici e con le magistrature della Repubblica preposte alle grandi opere pubbliche territoriali, entro cui si andavano elaborando nuove sensibilità tra ricerca scientifica e antiquaria; Legrand ricorda quindi gli interessi per la decorazione, la pittura, la scenografia teatrale e l'incisione, che poi Piranesi avrebbe perseguito, con lo studio della prospettiva e dell'antico, nei primi anni romani, in cui si collocano anche i viaggi a Napoli e quei contatti con eruditi e studiosi che avrebbero segnato in modo duraturo tutta la sua maturità.
Dopo una breve malattia, il 9 novembre 1778 moriva nella sua casa di Roma. Venne sepolto nella tomba fatta preparare da Giovan Battista Rezzonico in S. Maria del Priorato all'Aventino, con la statua del defunto eseguita da Giuseppe Angelini su commissione della famiglia e il grande candelabro marmoreo predisposto dall'artista per la propria sepoltura almeno dal 1770 (confiscato da Napoleone, e oggi al Louvre).
OPERE PIÙ IMPORTANTI
LUIGI VANVITELLI
Luigi Vanvitelli nasce a Napoli nel 1700 e muore a Caserta nel 1773. Figlio di Gaspard van Wittel, vedutista olandese naturalizzato italiano, egli inizia la propria attività artistica seguendo le orme paterne. Ma il Vanvitelli non avrà successo come pittore bensì come architetto. Formatosi a Roma nell'ambiente di Carlo Fontana, entra verosimilmente in contatto con il già affermato Juvara, del quale potrebbe essere stato anche suo allievo. La sua personalissima concezione architettonica, pur partendo da una solida base barocca si dimostra sensibie ai temi della classicità, recuperati direttamente dallo studio delle rovine antiche che la cultura illuminista del tempo incominciava a rivalutare con sempre maggior insistenza. Per questi motivi egli è considerato il primo architetto neoclassico italiano.
Dopo aver partecipato a diversi concorsi (il più importante per la facciata della Basilica di San Giovanni in Laterano) viene nominato nel 1726 alla prestigiosa carica di primo architetto della Fabbrica di san Pietro. Nel 1751 è chiamato a Napoli da Carlo III di Borbone, il sovrano illuminato che, a partire dalla sua investitura, aveva intrapreso una vigorosa azione di rinnovamento politico ed economico dello Stato.
REGGIA DI CASERTA

La Reggia di Caserta risale ai tempi di Carlo di Borbone re di Napoli e di Sicilia dal 1735 al 1759.
Salito al trono, Carlo di Borbone si apprestò a riorganizzare il regno sia sotto il profilo militare-amministrativo sia sotto quello culturale. A questo scopo volle realizzare una fastosa reggia che avesse l'eleganza e lo splendore della Reggia di Versailles, simbolo dell'ideale di vita grandiosa del Re Sole, Luigi XIV. La reggia doveva avere l'aspetto di un palazzo moderno che celebrasse i fasti dei Borbone, che elevasse il Regno di Napoli e di Sicilia allo stesso rango degli altri europei e che diventasse il centro amministrativo della nuova capitale del regno, Caserta.
Per realizzare il grandioso progetto fu chiamato un architetto e ingegnere all'epoca assai stimato: Luigi Vanvitelli (1700-1773), figlio del celebre vedutista di origine olandese Gaspard van Wittel. Per l'edificio principale Luigi Vanvitelli progetta un corpo di fabbrica rettangolare, lungo 247 metri sui lati maggiori e 184 su quelli minori, con quattro cortili interni immaginati come piazze d'armi (gli immensi spazi all'aperto utilizzati per le adunanze militari). I quattro cortili sono definiti da due bracci perpendicolari. Il suo impianto è dunque semplice e rigoroso, basato su norme razionali. Allo stesso tempo, la facciata ha andamento uniforme, appena rotto da sporgenze al suo centro e ai lati.
E se all'esterno la residenza ha un'eleganza contenuta, all'interno si mostra sfarzosa: il vestibolo centrale, l'immenso scalone d'onore, le milleduecento stanze, distribuite su tre piani, moltiplicano le vedute prospettiche in uno straordinario gioco di rimandi.
Attorno alla Reggia di Caserta si estende un parco di oltre 120 ettari: qui, fra boschetti, fontane e giochi d'acqua, sbucano ovunque statue di eroi e divinità della mitologia classica, che spesso alludono alla passione per la caccia dei regnanti.
Una curiosità: Luigi Vanvitelli è anche l'autore del progetto per l'Acquedotto Carolino (iniziato nel 1753), che nasce per alimentare le fontane della Reggia di Caserta e per il rifornimento idrico di Napoli.
Il 20 gennaio 1752 furono avviati i lavori, ma, a causa del trasferimento di Carlo sul trono di Spagna (1759) e della morte di Luigi Vanvitelli (1773), la Reggia di Caserta fu completata solo nel 1847.
FRANCESCO HAYEZ
Francesco Hayez, pittore romantico, classicheggiante, nasce a Venezia, nella parrocchia di Santa Maria Mater Domini il 10 febbraio 1791.
Ultimo dei cinque figli di una povera famiglia, viene affidato a una sorella benestante della madre, moglie di un commerciante d'arte.
E' nella bottega di questo zio che il piccolo Francesco, crescendo all'ombra di tanti quadri, manifesta una naturale inclinazione al disegno.
L'educazione artistica del ragazzo viene affidata a pittori locali, ma la sua vera scuola è la galleria del palazzo Farsetti, che ospita una grande collezione di gessi statuari, tratti dai modelli dei musei di Roma, dove si esercita per ore a copiarli.
Nel 1803, dodicenne, segue un Corso di Nudo nella vecchia Accademia e, sotto la guida di Lattanzio Querena, comincia ad usare i colori; tre anni dopo viene ammesso ai corsi di pittura della Nuova Accademia di Belle Arti, appena costituitasi: il suo maestro di figura è Teodoro Matteini, pittore preromantico, famoso come ritrattista, parzialmente influenzato dalla pittura inglese contemporanea.
OPERE IMPORTANTI